Tra le squadre che, quest’anno partecipano alla Champions League per la prima volta, ce n’è una che ha una storia talmente ricca alle spalle, che meriterebbe uno speciale di Federico Buffa e chissà che un giorno l’avvocato non decida di farlo. E una storia che raccontiamo senza la pretesa di essere esaustivi: sarebbe d’altra parte impossibile. Siamo certi che molti di voi avranno qualcosa da raccontare a riguardo, e vi esortiamo a farlo nei commenti.
Stiamo parlando dell’Union Berlin, squadra che lo scorso anno si è piazzata alle spalle di Borussia Dortmund e Bayern Monaco in Bundesliga. Per comprendere il valore dell’impresa, bisogna allargare lo sguardo di qualche anno. Questo non è l’ exploit di una squadra fortunata che ha sfruttato l’annata negativa di qualche grosso squadrone. Questa storia parla di una progressione partita nell’anno 2005/2006, quando l’Union Berlin, allora parente povera dell’Hertha Berlin 6° nella massima serie, vinceva il campionato di 4a divisione.
Da li non si è più fermata. Conquista la 2. Liga nel 2008/2009 dopo averla sfiorata l’anno prima. Qui l’apprendistato è più lungo, 10 stagioni e, dopo averla sfiorata nel 2016-2017, la tanto attesa promozione in Bundesliga arriva col campionato 2018-2019. Nonostante una bruciante eliminazione ai gironi di Conference League la crescita dell’Union Berlin non si arresta, arrivando fino a un ottavo di finale di Europa League lo scorso anno (battendo prima l’Ajax) e ogni anno la squadra supera se stessa fino a raggiungere il 3° posto in classifica di quest’anno. Il sorpasso nei confronti dell’Hertha Berlin è già avvenuto da diversi anni, ma è curioso come a questo traguardo sia corrisposta la retrocessione dei “cugini”. I casi della vita.
Per l’Union non c’è nulla di casuale in questo risultato. Serve tanto lavoro e tanta attenzione da parte del management per realizzare una crescita sportiva costante, mantenendo l’equilibrio societario. Ma l’Union Berlin è molto di più dei propri risultati sportivi. Ciò che colpisce della sua storia è il legame speciale con la città e i propri tifosi. Le radici dell’Union affondano fino al 1906, anno di nascita di un club che dovrà passare molte scissioni, fallimenti e ricostruzioni per arrivare all’era moderna. Il suo campo di gioco attuale, lo Stadion An der Alten Försterei fu costruito nel 1920 ai margini di un’area boschiva e il nome può essere tradotto in “Stadio vicino all’Antica Casa del Guardiaboschi”.
Ma la vera Storia con la S maiuscola, viene scritta nel dopoguerra. La sede della squadra si trovava nella parte Est della città e quindi partecipò alle competizioni sotto la bandiera della Germania Est, dove in tanti anni l’unico trofeo conquistato fu una vittoria nella coppa nazionale. All’epoca le competizioni erano dominate dalla concittadina Dynamo Berlin, il cui presidente era Erich Mielke, uno dei fondatori della Stasi, la principale e spietata organizzazione di sicurezza e spionaggio della Repubblica Democratica Tedesca, la Germania ’Est. Legata a doppio filo con il potere politico dittatoriale, la Dynamo godeva di abbondanti finanziamenti, potendosi permettere di tesserare i migliori giocatori in circolazione.
Da qui, quasi come naturale reazione al potere oppressivo, l’Union Berlin assunse il ruolo di “squadra della dissidenza”. Diventando nel tempo un punto di riferimento per tutto il mondo delle subculture anti-sistema. Non come partito politico, ma come soggetto sociale poliedrico, indistinto, nebuloso e talvolta contraddittorio. Ne facevano parte gruppi punk (la straordinaria Nina Hagen ha prestato la voce all’inno della squadra), skinheads, neo-nazisti e studenti di varia estrazione sociale e politica. Li accomunava era l’avversione contro il regime. Andare allo stadio era un modo per testimoniare, per esprimere il dissenso con la voce. Bersagli preferiti, il muro e i soprusi della polizia.
Con la caduta del muro e la riunificazione tutto è cambiato. Ma l’appartenenza ad un club, che per molti è stata una ragione di vita politica e sociale, è rimasto vivo in molti berlinesi. La dimostrazione più viva si è avuta nel 2006, anno dei mondiali in Germania. Sull’onda dell’ammodernamento degli stadi richiesti dalla FIFA, la federazione tedesca alza i propri standard. Lo stadio dell’Union Berlin non è più adatto a ospitare le competizioni. A differenza di chi come il Bayern scelse di abbandonare il suo Olympiastadion, i berlinesi decisero di ammodernare la propria casa. Ai lavori parteciparono oltre 2000 tifosi, che prestarono al club 140.000 ore di lavoro gratuito. Oggi, nel piazzale di fronte all’ingresso della “Alten Försterei”, un grande casco rosso da lavoro reca incisi tutti i nomi degli operai-tifosi che hanno contribuito all’opera. Quello stesso anno la società vendette inoltre 4.000 azioni della struttura a soci e tifosi raccogliendo oltre 3 milioni di €, rendendo i tifosi proprietari di parte del loro stadio. E hanno chiesto e ottenuto di mantenere le curve con soli posti in piedi, come negli stadi di una volta, scelta vista con invidia da molte squadre in tutta Europa (in Austria il Rapid Vienna ha di recente vinto la battaglia contro la federazione, ottenendo il ripristino dei posti in piedi).
L’Union Berlin ha dimostrato di non dimenticare la storia. Lo ha fatto in occasione del debutto casalingo assoluto in Bundesliga. Il 18 agosto 2019 L’Union Berlin ospita l’RB Lipsia, altra città dell’ex DDR. Per l’occasione nessun tifoso doveva mancare. Nessuno tra quelli che avevano lavorato allo stadio, o contribuito economicamente alla sua ristrutturazione. O quelle migliaia di tifosi che avevano visto le partite nei periodi bui del regime della DDR. La società ha studiato una coreografia che bandiva striscioni e bandiere. Ha fatto stampare fotografie, fornite dai tifosi, di tutti i compagni di tifo scomparsi negli anni. C’erano i tifosi e le foto di chi non c’era più. Era il giusto che in quel giorno di festa, potesse partecipare chiunque avesse contribuito a far sì che la squadra fosse lì a giocare, per la prima volta nella sua storia, un match di Bundesliga. Un sogno appartenuto a tanti, ma che pochi avrebbero visto con i loro occhi. Eppure la loro presenza è divenuta avvertibile in quel clima incredibilmente commovente.
E ancora oggi c’è grande identificazione tra la società e i propri tifosi. Basta guardare il sito ufficiale per cogliere quale attenzione e disponibilità sia dedicata all’ascolto dei propri fan. Un’organizzazione che esiste in quasi tutte le società più evolute, ma difficilmente trova un accesso diretto così semplice. Ora questa storia approda in Champions League e lo fa con il suo capitano storico Christopher Trimmel (austriaco) e l’allenatore che li ha portati in Bundesliga, lo svizzero Urs Fischer. Lo fa dopo due partite a punteggio pieno in Bundesliga, che mostrano come la corsa sia tutt’altro che esaurita. L’unica cosa che ci fa scuotere la testa è che la Champions si giocherà all’Olympiastadion. Da un lato dispiace non poter essere all’Alten Forsterei, casa del club e dei suoi tifosi, dall’altro il limite di capienza del vecchio stadio (22mila) posti lo rende meno inclusivo per gli abitanti di Berlino tutta.
In attesa del sorteggio dei gironi, siamo comunque certi che i tifosi dell’Eisern Union (unione di ferro) non vedano l’ora. Proprio come noi.
Pino Caligiuri